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Pubblicato il 08-04-2014

La concessione delle attenuanti generiche non implica la non menzione della condanna nel casellario giudiziale.

Questa pronuncia della Suprema Corte che infra si propone appare interessante per un aspetto che di rado desta l’interesse mediatico e dottrinale in tema di reati della circolazione stradale ma che, tuttavia, appare di estrema curiosità per il Cliente, il quale spesso interroga il Legale, come nel caso di scrive, sulle sorti della propria c.d. “fedina penale”.

Ebbene, tale sentenza, di cui non interessa per il rilievo scelto, affrontare la tematica in ordine alla fattispecie assai complessa p. e p. all’art. 189 C.d.S., “comportamento in caso di incidente” come recita la rubrica, analisi che rimanderemo ad altro approfondimento, pone un distinguo di indubbia rilevanza fra la disciplina delle attenuanti generiche e la disciplina della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

Il distinguo se, come ovvio, è chiaro ai cultori della materia, potrebbe non esserlo per il Cliente, il quale potrebbe trovare qualche difficoltà nel comprendere come l’uno non implichi ex se anche l’altro.

I Consiglieri della Quarta Sezione Penale sono tuttavia chiari e statuiscono: “Non v'è contraddizione, in astratto, nell'aver attestato la pena nel minimo, con la concessione delle attenuanti generiche e, allo stesso tempo, aver negato che sussistessero le condizioni per ordinare la non menzione della sentenza di condanna. Invero, ragioni rieducative e di prevenzione speciale ben possono, ove ne sia il caso, consigliare l'esclusione dell'invocato beneficio, pur dopo aver assegnato ai fatti un perimetro di offensività contenuto”.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 05-12-2013) 06-03-2014, n. 10917

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SIRENA Pietro A. - Presidente -

Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -

Dott. VITELLI CASELLA Luca - Consigliere -

Dott. GRASSO Giusep - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.R. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 1586/2009 CORTE APPELLO di TORINO, del 17/05/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/12/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. STABILE Carmine che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

 

1. Il Tribunale di Torino, con sentenza del 10/10/2008, condannò P.R., giudicato colpevole dei reati di cui all'art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, alla pena stimata di giustizia, previo riconoscimento delle attenuanti generiche. La Corte d'Appello di Torino, con sentenza del 17/5/2013, confermò la statuizione di primo grado, impugnata dall'imputato.

2. Avverso quest'ultima sentenza il P. ricorreva per cassazione prospettando due motivi di censura.

3. Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione dell'art. 511 c.p.p., comma 4. La Corte territoriale, al fine di contrastare le argomentazioni difensive con le quali si era lamentata la scarsa attendibilità della p.o., era ricorsa al contenuto dell'atto di querela, così da poter affermare che la p.o. aveva fatto riferimento genericamente al soccorso prestato da un carabiniere, senza specificare dove lo stesso prestasse servizio. Una tale utilizzazione contrastava con il divieto di legge (combinato disposto dell'art. 431 c.p.p.art. 511 c.p.p., comma 4), stante che la querela viene acquisita al fascicolo dibattimentale al solo fine di verificare la procedibilità.

3.1. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia vizio motivazionale in questa sede rilevabile a riguardo della mancata concessione della non menzione.

La pena era stata attestata nel minimo edittale ed era stata riconosciuta sussistere l'attenuante di cui all'art. 62 bis cod. pen. e, tuttavia, utilizzando i medesimi parametri di cui all'art. 133 cod. pen., il giudice di merito, peraltro attraverso l'uso del verbo apparire, che non ha natura assertiva, era giunto all'opposta conclusione in merito all'istituto di cui all'art. 175 cod. pen..

Motivi della decisione

 

5.1. L'art. 189 C.d.S., comma 1 dispone: "L'utente della strada, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l'obbligo di fermarsi e di prestare l'assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona". Il successivo comma 6, il quale prevede che " Chiunque, nelle condizioni di cui comma 1, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all'obbligo di fermarsi, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni (...)", impone l'arresto sulla base del concreto pericolo che una delle persone coinvolte abbia subito danno.

Secondo il ben prevalente orientamento maturato in sede di legittimità, il reato di fuga previsto dall'art. 189 C.d.S., comma 6, è un reato omissivo di pericolo, per la cui configurabilità è richiesto il dolo, che deve investire essenzialmente l'inosservanza dell'obbligo di fermarsi in relazione all'evento dell'incidente concretamente idoneo a produrre ripercussioni lesive alle persone, e non anche l'esistenza di un effettivo danno per le stesse - Cass., Sez. 4, 3/6/2009, n. 34335; fra le altre conformi, Sez. 6, 16/2/2010, n. 21414 -.

Come tutte le norme incriminatrici che si prefiggono tutela avanzata d'interessi, la concretezza dell'evento che giustifica la previsione non può, quindi, giungere fino ad un'effettiva constatazione del tipo di nocumento procurato. Infatti, non a caso, la previsione utilizza il termine aspecifico di danno, volutamente ignorando il più preciso riferimento a quello di lesione. Peraltro, nel caso di specie non è era dubbio che l'anziana donna, travolta sulle strisce pedonali, con probabilità elevatissima, avesse subito lesioni fisiche.

Da ciò discende anche la violazione del comma 7, il quale statuisce che "chiunque, nelle condizioni di cui al comma 1, non ottempera all'obbligo di prestare l'assistenza occorrente alle persone ferite, è punito con la reclusione da un anno a tre anni. (...)".

Il reato di mancata prestazione dell'assistenza occorrente dopo un investimento (art. 189 C.d.S., comma 7) esige un dolo meramente generico, ravvisabile in capo all'utente della strada il quale, in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento ed avente connotazioni tali da evidenziare in termini di immediatezza la concreta eventualità che dall'incidente sia derivato danno alle persone, non ottemperi all'obbligo di prestare la necessaria assistenza ai feriti (Cass., Sez. 4, 14/5/2008, n. 33294). Dolo che può anche configurarsi come eventuale (Cass., Sez. 4, 511/2009, n. 43960 e 13/5/2011, n. 25668).

5.2. Il ricorrente, introducendo dubbi sull'attendibilità della p.o., quale testimone del fatto, includente la condotta dell'imputato, privi di un apparato argomentativo compiuto e credibile, non mostra di aver tenuto adeguato conto della norma processuale la quale consente riesame in sede di legittimità del percorso motivazionale (salvo l'ipotesi dell'inesistenza) nei soli casi in cui lo stesso si mostri manifestamente (cioè grossolanamente, vistosamente, ictu oculi) illogico o contraddittorio, dovendo, peraltro, il vizio risultare, oltre che dalla medesima sentenza, da specifici atti istruttori, espressamente richiamati (art. 606, comma 1, lett. e).

Peraltro, in questa sede non sarebbe consentito sostituire la motivazione del giudice di merito, pur ove il proposto ragionamento alternativo apparisse di una qualche plausibilità.

Sull'argomento può richiamarsi, fra le tante, la seguente massima, tratta dalla sentenza n. 15556 del 12/2/2008 di questa Sezione, particolarmente chiara nel delineare i confini del giudizio di legittimità sulla motivazione: Il nuovo testo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di cassazione di procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il "novum" normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto travisamento della prova, finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere a un'inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all'interno della decisione. E' stato utilmente chiarito (sentenza 6/11/2009, n. 43961 di questa Sezione) che il giudice di legittimità è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. Pertanto, ove si deduca il vizio di motivazione risultante dagli atti del processo non è sufficiente che detti atti siano semplicemente contrastanti con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua complessiva ricostruzione dei fatti e delle responsabilità, nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudice.

Occorre, invece, che gli atti del processo, su cui fa leva il ricorrente per sostenere la sussistenza di un vizio della motivazione, siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.

5.3. Al contrario, a fronte della prospettazione ipotetica del P. devesi rilevare la presenza di un assetto motivazionale apprezzabilmente coerente ed esaustivo.

a) Il preteso mancato riscontro delle dichiarazioni V. A. sulla circostanza dell'essere stata soccorsa da un carabiniere in servizio presso la Stazione di B. Lingotto non assume valore decisivo per più ragioni, siccome evidenziato nella sentenza impugnata (pag. 2) (non accertata accuratezza delle ricerche per individuare il militare; plausibile falso ricordo della p.o., generato dalla circostanza che la querela venne sporta presso la predetta Stazione);

b) non emergevano specifiche ragioni per escludere che la donna avesse potuto prendere nota della targa dell'autovettura investitrice, stante che la medesima non perse i sensi nell'occorso e si sforzò di memorizzare i dati necessari, in presenza di un comportamento siffattamente offensivo e disdicevole dell'investitore.

Deve, inoltre, escludersi che l'atto di querela sia stato utilizzato illegalmente per fini diversi dalla verifica della procedibilità. La presenza o meno del carabiniere soccorritore non ha rilievo di sorta sulla ricostruzione dell'episodio, che consiste nella condotta del conducente dell'autovettura investitrice, il quale non si era fermato a dare soccorso alla persona ferita a causa dell'incidente da lui provocato.

In ogni caso, come sopra si è ripreso, l'affidabilità della teste resta integra a prescindere dalla verifica del fatto che la medesima venne soccorsa nell'immediatezza (pertanto dopo essere stata investita da automobilista che aveva omesso di darle soccorso) da un carabiniere in servizio presso quella data caserma o, come ben possibile, presso altro ufficio.

6. Fondato invece risulta il secondo motivo.

Non v'è contraddizione, in astratto, nell'aver attestato la pena nel minimo, con la concessione delle attenuanti generiche e, allo stesso tempo, aver negato che sussistessero le condizioni per ordinare la non menzione della sentenza di condanna. Invero, ragioni rieducative e di prevenzione speciale ben possono, ove ne sia il caso, consigliare l'esclusione dell'invocato beneficio, pur dopo aver assegnato ai fatti un perimetro di offensività contenuto.