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Pubblicato il 24-01-2011

Ciclomotore - Assicurazione anche con trasporto in sovrannumero di passeggeri - Si ha esclusione della copertura solamente se espressamente previsto dalle condizioni di contratto

Cassazione penale , sez. IV. sentenza 24.01.2011 n° 2302

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE IV PENALE

Sentenza 24 gennaio 2011, n. 2302

 

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 24.11.2009 la Corte di Appello di Milano, in riforma di quella emessa in data 28.3.2007 dal Tribunale di Voghera in composizione monocratica, che aveva assolto perchè il fatto non sussiste P.S. dal reato di omicidio colposo con violazione delle norme sulla circolazione stradale in danno di B.E. (commesso il (OMISSIS)), affermava la penale responsabilità del predetto P. in ordine al reato contestato, condannandolo, con circostanze attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante, alla pena di mesi quattro di reclusione con i

doppi benef ici di legge oltre al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili con rifusione delle spese ed assegnazione di provvisionali immediatamente esecutive.

Le peculiarità della vicenda e delle connesse prospettazioni difensive impongono, per un'adeguata comprensione, di premettere la ricostruzione dei fatti, come operata dalla sentenza di primo grado, che si rimena a quanto riferito dal P. essendo stato quest'ultimo l'unico ad avervi assistito nel loro intero svolgimento, dal momento che gli altri ragazzi sopraggiunsero subito dopo, quando già i primi due giovani erano caduti.

Secondo tale ricostruzione, P.S. e B.E. procedevano sul ciclomotore di quest'ultima, condotto dall'imputato, ed erano i primi della fila del gruppo di amici; superata una curva, l'imputato si sbilanciò sul fondo ghiaioso e f inì sulla sinistra della carreggiata, dove urtò un paletto; i due ragazzi caddero, e proprio allora sopraggiunse Br.An., secondo della f ila, che urtò con la sua moto quella di E. e cadde a sua volta, mentre la moto di E. finì addosso alla ragazza; arrivarono quindi gli altri giovani, che riuscirono, invece, a frenare in tempo.

Questa era la ricostruzione più attendibile dell'incidente, poichè non smentita da quanto riferito dai testi presenti, e conciliava quanto riferito in seguito da E. al padre (ossia che la moto che la seguiva le era andata addosso) con quanto dichiarato dalla ragazza nell'immediatezza del fatto all'amica C.S., mentre la stessa le prestava soccorso (la C. dichiarava di aver chiesto più volte ad E. se il Br. l'avesse investita, e la ragazza le aveva risposto di no).

E. rif iutava ripetutamente di andare in ospedale, dicendo di avere solo male alla gamba destra; anche la guardia medica, chiamata dai genitori, non svolgeva accertamenti particolari, nè insisteva per il ricovero immediato; il giorno dopo, però, le condizioni della giovane si

aggravavano e al Policlinico (OMISSIS), dove la stessa viene ricoverata, si accertava la rottura della milza, per cui si rendeva necessario un intervento urgente di splenectomia. La rottura

della milza, alla luce di quanto sopra riferito, fu evidentemente conseguenza dell'incidente, non essendo ipotizzabili altre ragioni che potessero averla determinata; ma poteva essere avvenuta

in due diversi momenti (escludendo che fosse semplice conseguenza della caduta sul fianco destro, non idonea a cagionare lesioni a un organo interno posto alla sinistra del corpo, come spiegato dal consulente della difesa dr. T.): o nell'urto contro il paletto menzionato dal P. (ammesso che anche E. e non solo l'imputato lo avesse urtato) ovvero nell'urto contro la moto del Br..

Non essendo, però, la giovane E. deceduta per la lesione della milza, bensì per un grave deterioramento delle condizioni di salute, che aveva preso l'avvio principalmente dalle condizioni, già gravemente scompensate, del fegato della ragazza (che aveva subito un trapianto alcuni anni prima, per una epatite C contratta alla nascita), che avevano determinato un'encefalopatia epatica e favorito l'insorgere di gravi meccanismi infettivi, il Tribunale escludeva la sussistenza del nesso causale tra il traumatismo riconducibile alla condotta dell'imputato e le gravi patologie avevano portato alla morte di B.E..

La Corte territoriale, adita su appello del P.M., disponeva la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale con l'espletamento di una perizia. L'elaborato prodotto concludeva che esisteva un forte intreccio causale nelle vicende della morte di E., ossia il trauma con rottura della milza e la cirrosi epatica globale e insufficienza globale epatica per perdita del trapianto (epatite da rigetto); la rottura della milza era verosimilmente rapportabile all'ingrandimento volumetrico e ponderale della stessa, secondario alla malattia epatica (rottura da contraccolpo); la malattia di fegato della giovane, ancorchè non concretamente percepita nella quotidianità, rendeva molto grave la prognosi a breve-medio termine; la sostanziosa preponderanza nel post -operatorio delle complicazioni encefaliche settiche con "epatite fulminante terminale" e della emorragia digestiva cui era razionalmente assegnabile il ruolo di causa efficiente e determinante nella causazione della morte in un lasso tempo cosi breve che aveva caratterizzato il sopraggiungere dell'exitus; il decorso clinico appariva inusuale per una splenectomia, forse tardiva, rispetto a quanto si sarebbe verif icato in

soggetto giovane precedentemente in normale e buona salute; non poteva quindi disgiungersi il concetto dell'evoluzione sfavorevole alle pregresse condizioni cliniche di E. e la conseguente compromissione di tutte le funzioni vitali dell'organismo. La causa della morte era da identif icarsi in una improvvisa e autonoma patologia collegata al preesistente trapianto di fegato e la splenectomia e la natura della lesione alla milza erano stati fattori occasionali, "concausa minore" a fronte della causa preponderante, rappresentata dalla sfavorevole evoluzione del trapianto epatico da tempo iniziata.

La Corte, collegata la rottura (per contraccolpo) della milza alla caduta, sulla scorta della deposizione del perito, riteneva che fu, senza dubbio, tale evento traumatico ad incidere sui tempi della sopravivenza della giovane che, benchè molto malata, conduceva comunque una vita normale, sicchè il comportamento colposo dell'agente (che guidava un ciclomotore non abilitato al trasporto di due passeggeri e cadde in curva scivolando sulla ghiaia) aveva accelerato l'evento destinato comunque a compiersi, con ciò realizzandosi il nesso causale con l'evento. Avverso la sentenza della Corte milanese ricorrono per cassazione P.S., personalmente, e il difensore di fiducia del responsabile civile Fondiaria - SAI S.p.a..

Il primo deduce la violazione di legge e il vizio motivazionale.

Rileva come la sentenza impugnata si sia fondata sul principio della condicio sine qua non (o dell'equivalenza delle cause) che, invece, ormai da molti anni, a suo dire, non trova più cittadinanza nel nostro ordinamento giuridico. La Corte aveva, nel seguire tale teoria, pretermesso dalla catena causale una lunga serie di fatti e cioè:

1. l'ipertrofia della milza, sicchè, come osservato dal consulente, anche una brusca frenata avrebbe potuto causare la rottura da contraccolpo e di tale ipertrofia erano all'oscuro i genitori di E., questa stessa e l'imputato;

2. l'urto con il secondo motorino, condotto dal Br.: mancando qualsiasi rilevamento oggettivo sulla dinamica reale dell'incidente, non era chiaro in base a quale prova la Corte d'Appello avesse deciso che la lesione fosse stata cagionata dalla prima caduta anzichè dall'urto o scotimento provocato dal secondo motorino;

3. la negligenza della guardia medica, che non effettuò nè visita della ragazza nè palpazioni, nè applicò alcuna tecnica diagnostica, prescrivendo anche farmaci assolutamente controindicati; inoltre, essendosi la lesione della milza verificata in due fasi, un tempestivo ricovero della giovane avrebbe permesso di evitare la rottura anche della loggia splenica da cui era scaturita l'anemizzazione;

4. l'epatite fulminante terminale, che non era collegabile in alcun modo alla rottura della milza, evidenziando, oltre a quanto esposto nelle conclusioni della relazione tecnica, come il CTU (rectius: perito) avesse risposto al P.G. che E. "sarebbe morta, per me, prima che si raggiungesse una rottura spontanea della milza... per una emorragia digestiva" e che la relazione del CTU si concludeva affermando che la splenectomia e la natura della lesione alla milza erano stati fattori occasionali "concausa minore" a fronte della concausa preponderante rappresentata dalla sfavorevole evoluzione del trapianto epatico da tempo iniziata.

Nell'interesse del responsabile civile, si denunzia la violazione della legge penale ed in particolare l'erronea applicazione degli artt. 40 e 41 c.p.: si richiama il principio della c.d. "causalità umana" affermato da questa Suprema Corte (SS.UU. n. 30328 del 10.7.2002) che, pur riconoscendo la perdurante validità del principio condizionalistico, ha ritenuto la necessità di procedere al giudizio "controfattuale" al fine di verificare se, eliminata mentalmente la condotta in questione, l'evento si sarebbe egualmente verificato. Al riguardo, ci si domanda: se la giovane non avesse subito la lesione della milza e il conseguente intervento di splenectomia, avrebbe potuto contrarre le gravissime infezioni che la portarono al decesso? Queste ultime potevano già essere presenti nell'organismo prima dell'incidente? Le stesse potevano insorge re in qualunque momento a causa della terapia immunosoppressiva per evitare il rigetto del fegato? Si rileva, altresì, che, oltre a collegare la rottura della milza alla caduta dal motorino

senza fornire alcuna giustificazione circa l'eventualità che anche il secondo motorino avesse colpito sul fianco la ragazza, la sentenza impugnata aveva ritenuto che tale evento avesse accelerato l'exitus, benchè le complicazioni intervenute fossero del tutto indipendenti e

svincolate dall'intervento chirurgico alla milza. Si deduce, infine, l'erronea applicazione di norme giuridiche ed in particolare dell'art. 170 C.d.S., comma 2, in quanto, pur avendo la Corte territoriale ritenuto che il trasporto della giovane E. era avvenuto contra legem, perchè il

ciclomotore della stessa non era abilitato al trasporto di due passeggeri e quindi dell'inesistenza della copertura assicurativa, aveva ciononostante condannato in via solidale la Fondiaria SAI S.p.a. al risarcimento del danno e al pagamento delle provvisionali in favore

delle parti civili e tanto non solo in assenza di qualsiasi motivazione e in violazione dell'art. 170 C.d.S., comma 2, ma anche in contraddizione con la giurisprudenza civile della medesima Corte di Appello che aveva stabilito l'inoperatività della garanzia assicurativa in caso di trasporto contra legem.

Motivi della decisione

I ricorsi sono infondati e devono essere, pertanto, rigettati.

Giova, anzitutto, rammentare che, anche alla luce del nuovo testo dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modif icato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, non è tuttora consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiv a al giudice del merito. In ogni caso non spetta alla Corte di cassazione "rivalutare" il modo uno specifico mezzo di prova sia stato apprezzato dal giudice di merito, giacchè, attraverso la verif ica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne

esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi (Cass. pen., sez. 4^, 12.2.2008, n. 15556, Rv. 239533). Ciò, peraltro, contestualmente al rispetto della regola della cosiddetta "autosufficienza" del ricorso costantemente affermata, in relazione al disposto di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, dalla giurisprudenza civile ma che trova cittadinanza anche nell'ambito penale, con la conseguenza che, quando si lamenti la omessa valutazione o il travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente suffragare (cosa che non è avvenuta nel caso di specie) la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell'integrale

contenuto degli atti medesimi (elaborati peritali, deposizioni testimoniali), non ritenendosi sufficienti isolati e "scelti" frammenti di essi, che non consentono la possibilità dell'apprezzamento del vizio dedotto e della lamentata (nel ricorso dell'imputato) estrazione "in

modo atomistico di alcuni passi della relazione" (cfr. Cass. pen. Sez. 4^, 26.6.2008 n. 37982 Rv. 241023; Sez. 1^, 22.1.2009, n. 6112, Rv. 24322).

In particolare, quanto al ricorso dell'imputato, va rilevato che, in tema di rapporto di causalità, la legge penale accoglie il principio di equivalenza delle cause (v. sullo specifico punto, anche Sez. 5^, n. 28509 del 13.4.2010, Rv. 247885), riconoscendo il valore interruttivo della seriazione causale solo a quelle che sopravvengono del tutto autonomamente, svincolate dal comportamento del soggetto agente e assolutamente autonome. "Ne consegue che il decesso della vittima del reato, pur affetta da pregresse patologie, se dovuto a complicazioni

susseguenti ad operazione chirurgica resa necessaria dalla condotta lesiva dell'agente, non esclude il nesso eziologico tra la condotta stessa e l'evento" (Sez. 1^, n. 8866 del 20.6.2000, Rv. 216904; Sez. 5^, n. 13530 del 7.2.2002, Rv. 221471).

Più specificamente, è stato affermato che "quando la condotta dell'agente costituisce un antecedente senza del quale l'evento non si sarebbe verificato, poichè la sua assenza non avrebbe consentito la messa in moto di quello ulteriore elemento che, per forza propria, ha, in

definitiva, determinato l'evento stesso, tale condotta rappresenta pur sempre un elemento che ha contribuito, in una certa misura, al suo verificarsi. Consegue che in caso di omic idio colposo di persona già affetta da malattia, l'azione dell'imputato deve considerarsi in rapporto di causalità con l'evento quando risulti dimostrato che essa abbia prodotto un trauma che ha influito nella evoluzione dello stato morboso, provocando o accelerando la morte" (Sez. 4^, n. 3903 dell'8.3.1983, Rv. 158789).

Orbene, la Corte ha fondato il proprio convincimento circa l'identificazione della causa della rottura della milza (che non avvenne spontaneamente) nella caduta dal motorino e non già nell'urto ricevuto dal motorino sopraggiunto del Br., in forza dell'attento vaglio di emergenze obiettive (in particolare, "la mancanza di segni apprezzabili" ... e "il fatto che se colpo diretto alla milza ci fosse stato, gli abiti leggeri indossati in luglio non avrebbero potuto evitare segni

evidenti in corrispondenza dell'organo colpito") nonchè della chiara ed inequivocabile deposizione del perito (pag. 9 della sentenza impugnata): "causa della rottura della milza era stato il contraccolpo", "si era strappata nel momento in cui il corpo si era bloccato di colpo per terra".

Quindi, deve ritenersi del tutto congrua la motivazione fornita al riguardo dalla Corte territoriale che, nei suddetti termini, ha individuato in modo preciso ed univoco la causa prima della rottura della milza, escludendo espressamente la tesi che voleva ricondurla al (successivo) urto del motorino del Br..

La Corte ha poi rilevato che, a prescindere dal tempo che rimaneva da vivere alla giovane E., gravemente malata, era stato "senza ombra di dubbio" l'evento traumatico della caduta ad incidere sui tempi di sopravvivenza alla luce di quanto chiaramente riferito al riguardo dal

perito secondo il quale "esisteva un forte intreccio causale nelle vicende della morte di E., ossia il trauma con rottura della milza e lo stato clinico preesistente". Di qui, ai sensi dell'a rt. 41 c.p., comma 1, deve trarsi l'immediata conclusione della totale irrilevanza del preesistente quadro morboso (la cirrosi epatica globale ed insufficienza globale epatica per perdita del trapianto ovvero epatite da rigetto e persino la dedotta ipertrofia della milza) che affliggeva la giovane E..

Del pari, anche la negligenza della guardia medica e l'epatite fulminante terminale sono elementi che non valgono ad escludere la riconducibilità dell'evento alla condotta colposa del ricorrente da cui è scaturita la rottura della milza benchè abbia solo accelerato per un tempo significativo (alcune ore, ibidem) la morte della giovane. Esse, infatti, non rappresentano cause autonome da sole sufficienti a determinare l'evento e tali da trovare nell'attività dell 'imputato solo l'occasione per svilupparsi. Il concetto di causalità sopravvenuta da sola sufficiente ad

escludere il rapporto causale a norma dell'art. 41 c.p., comma 2, anche se non postula necessariamente la completa autonomia del fattore causale prossimo rispetto a quello più remoto, esige comunque che il primo non sia strettamente dipendente dall'altro e che si ponga al di fuori di ogni prevedibile linea di sviluppo dello stesso (Sez. 1^, n. 11024 del 10.6.1998, Rv. 211606).

Inoltre, sono cause sopravvenute o preesistenti, da sole sufficienti a determinare l'evento, quelle del tutto indipendenti dalla condotta dell'imputato, sicchè non possono essere considerate tali quelle che abbiano causato l'evento in sinergia con la condotta dell'imputato,

atteso che, venendo a mancare una delle due, l'evento non si sarebbe verif icato (ex pluribus: Sez. 5^, n. 11954 del 26.1.2010 Rv. 246549).

Ancora, il rapporto di causalità tra l'azione e l'evento può escludersi solo se si verifichi una causa autonoma e successiva, che si inserisca nel processo causale in modo eccezionale, atipico e imprevedibile: tale è la situazione creatasi, in cui nè la negligenza della guardia medica, nè l'epatite fulminante terminale valgono ad escludere l'efficienza causale (iniziale e propulsiva) nella produzione dell'evento finale, benchè sotto il profilo della mera anticipazione temporale, della condotta colposa del ricorrente.

Quanto sopra osservato circa la riconducibilità della rottura della milza per contraccolpo alla caduta dal motorino a nulla rilevando il successivo urto contro il motorino condotto dal Br., deve ribadirsi riguardo al secondo motivo di ricorso addotto dal responsabile civile. Non è infatti possibile escludere il nesso causale, poichè, trattandosi di reato colposo commissivo, non può ritenersi che l'evento si sarebbe egualmente verif icato nei tempi poi accertati in assenza di quella caduta, atteso il chiaro tenore del responso peritale sopra richiamato. Del resto, s'appalesa del tutto errato e fuorviante il giudizio cont rofattuale prospettato dal ricorrente responsabile civile. Questi, infatti, assume quale premessa del detto giudizio teleologicamente orientato al decesso o all'anticipazione dello stesso, non già, come correttamente si deve nel caso di specie (cfr. Sez. 4^, n. 26020 del 29.4.2009, Rv. 243931), l'assenza della condotta colposa di guida del P., della conseguente caduta del ciclomotore della giovane E. e dipendente contraccolpo alla milza, bensì l'assenza delle lesioni della milza e del conseguente intervento di splenectomia, quali cause delle gravissime infezioni che portarono al decesso ovvero, comunque, l'assenza delle dette infezioni, autonomamente insorte. In tal modo, erroneamente si capovolge l'orientamento dell'indagine, allontanandola dal principale punto di focalizzazione che è la condotta dell'imputato.

Anche l'ultimo motivo di ricorso del responsabile civile è infondato.

Infatti, circolare in due sullo stesso motorino non rileva ai f ini della esclusione della garanzia assicurativa, atteso che condurre un numero di passeggeri non conforme alle prescrizioni del documento di circolazione integra una inosservanza delle condizioni di guida, ma non incide sulla relativa abilitazione; tale circostanza può valere ad escludere la garanzia assicurativa solo se l'ipotesi sia espressamente prevista dalle condizioni di contratto (Cass. civ., sez. 3^, 27.5.2009, n. 12270). Se mai, potrà comportare la proporzionale riduzione del risarcimento del danno (Cass. civ., sez. 3^, 22.5.2006, n. 11947).

I ricorsi vanno, pertanto, rigettati ed a tale pronuncia segue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili nel presente giudizio liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili che liquida in Euro 3.500,00 oltre accessori come per legge.